La sfida della prevenzione, chiave per un sistema sanitario sostenibile

Al Meeting di Rimini, esperti a confronto

La prevenzione è la chiave per costruire un sistema sanitario più resiliente, capace di affrontare efficacemente le sfide future e migliorare la qualità della vita dei cittadini. Oggi, la sfida cruciale è renderla un pilastro centrale del nostro sistema sanitario, soprattutto in un contesto come quello italiano, dove le crescenti sfide economiche, demografiche e sanitarie mettono sotto pressione le strutture esistenti. La prevenzione si configura così come una leva strategica essenziale non solo per migliorare la qualità della vita, ma anche per garantire la sostenibilità economica e operativa del sistema salute.

Su questi temi si sono confrontati al Meeting di Rimini – durante l’incontro “La sfida della prevenzione, chiave per un sistema sanitario sostenibile” sostenuto da Generali- Cattolica e DOC – esperti del settore, figure istituzionali e leader aziendali. Tra i relatori intervenuti: Francesco Bardelli, Chief Health & Welfare e Connected Business Development Officer di Generali Italia e CEO di Generali Welion; Valentino Confalone, Amministratore Delegato di Novartis Italia; Lorenzo Giovanni Mantovani, Direttore del Centro Dipartimentale di Studio sulla Sanità Pubblica dell’Università Milano Bicocca; e Paolo Veronese, CEO di Veronese Sicurezza e founder di Passione Sicurezza, con la moderazione di Riccardo Zagaria, Amministratore Delegato DOC.

Durante l’evento, commentando i dati del XVIII Rapporto Meridiano Sanità, è stato evidenziato come un aumento degli investimenti in prevenzione possa ridurre significativamente il burden delle patologie croniche, attualmente la principale causa di mortalità e disabilità nel nostro Paese. In particolare, il Prof. Lorenzo Giovanni Mantovani ha spiegato come una strategia integrata di prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) sia essenziale per affrontare le sfide dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle malattie croniche. Parlando delle priorità su cui è necessario concentrare gli sforzi per un’ottimizzazione del sistema, Mantovani ha evidenziato l’educazione sanitaria volta a promuovere stili di vita sani, oltre alla necessità di ripensare nuovi modelli di prevenzione che permettano di liberare risorse da reinvestire in altre aree critiche del sistema sanitario.

Valentino Confalone ha evidenziato l’importanza del Sistema Sanitario Italiano, che da oltre 50 anni rappresenta un pilastro fondamentale nella tutela della salute dei cittadini e che, proprio per questo, merita una protezione e un’attenzione particolari. Confalone ha sottolineato anche come il ruolo delle aziende farmaceutiche oggi vada ben oltre l’investimento in ricerca: è cruciale essere partner attivi nel sistema salute, collaborando con le istituzioni per sviluppare e realizzare soluzioni che rafforzino la sostenibilità e l’efficacia del sistema sanitario. Tuttavia, ha osservato Confalone, il Sistema Sanitario attuale investe solo il 5% del fondo sanitario in prevenzione. Risulta quindi necessario individuare nuovi meccanismi per incentivare una spesa più strategica, che possa davvero fare la differenza nella sostenibilità del nostro sistema sanitario.

Intervenuto a proposito di spesa sanitaria, Francesco Bardelli ha evidenziato l’importanza crescente della spesa sanitaria privata in Italia, che include fondi e assicurazioni, in un contesto in cui l’81% della popolazione identifica la salute come la propria priorità assoluta. Bardelli ha sottolineato che, di fronte a questa crescente consapevolezza e domanda, è essenziale che i player del settore collaborino con le istituzioni per rendere le cure sempre più accessibili e capillari su tutto il territorio italiano, favorendo ove possibile le cure domiciliari e sgravando le strutture sanitarie con conseguente ottimizzazione dei costi.

Infine, Paolo Veronese ha illustrato come l’ambito lavorativo possa diventare un contesto privilegiato per l’educazione alla prevenzione, sottolineando che il luogo di lavoro, dove trascorriamo gran parte della nostra giornata, rappresenta l’ambiente ideale per implementare la prevenzione primaria. Ha evidenziato che le aziende hanno un ruolo cruciale nella promozione attiva della salute e del benessere dei dipendenti attraverso programmi di sensibilizzazione e formazione continua. Promuovere una cultura della prevenzione sul posto di lavoro, infatti, non solo migliora il benessere dei dipendenti, ma contribuisce anche a creare un ambiente di lavoro più sano e produttivo, rendendo l’azienda un motore di sostenibilità sanitaria complessiva.

Riccardo Zagaria, Amministratore Delegato di DOC, ha sottolineato l’urgenza di un cambiamento di paradigma: “Investire oggi nella prevenzione significa costruire un domani più sano e sostenibile. Questo non si limita solo all’adozione di stili di vita sani, ma include anche scelte consapevoli nell’utilizzo dei farmaci. Promuovere l’uso dei farmaci equivalenti è un atto di prevenzione economica, che consente di liberare risorse preziose da reinvestire in ulteriori iniziative preventive e nell’accesso alle cure per un numero maggiore di persone. In un momento in cui la sostenibilità del sistema sanitario è sotto pressione, questa è una scelta strategica che non possiamo più rimandare”.

I farmaci equivalenti sono uno strumento essenziale per la sostenibilità del nostro SSN. Nonostante la comprovata efficacia però, un terzo degli italiani continua a preferire i farmaci originatori, generando un impatto economico significativo dal momento che è il cittadino a pagare la differenza tra il prezzo del medicinale originatore e quello di rimborso dell’equivalente (la spesa privata degli italiani ha raggiunto 1,1 miliardi di Ç in un anno).

Conclude l’importante momento di confronto Riccardo Zagaria: “Per garantire la sostenibilità del nostro sistema sanitario e preservarlo, è necessario l’impegno e la sinergia di tutti i player del settore, dalle istituzioni, alle assicurazioni e alle aziende farmaceutiche, sia che esse siano innovative o in grado di generare un risparmio offrendo cure di qualità a costi più sostenibili”.

Fonte: askanews.it

I sintomi, le opzioni terapeutiche e l’importanza di una diagnosi precoce

L’endometriosi prende il nome dall’endometrio, il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero. Quando questo cresce in modo anomalo al di fuori dell’utero, può causare lesioni e infiammazione in altre aree del corpo, come le ovaie e la zona pelvica, dando origine all’endometriosi: una malattia che colpisce circa 190 milioni di donne in età fertile (tra il 2% e il 10% della popolazione femminile mondiale), con una prevalenza che in Italia varia tra il 10% e il 15%. L’incidenza sale al 30-50% tra le donne infertili o con difficoltà a concepire. Le diagnosi accertate sono almeno 3 milioni.

“L’endometriosi è una patologia infiammatoria cronica, che colpisce soprattutto tra i 25 e i 35 anni, ma può manifestarsi anche in età più giovane – spiega Marco Grassi,ginecologo presso l’ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno – le cause sono ancora poco note e la diagnosi, purtroppo, arriva spesso dopo molto tempo”.

Quali sono i sintomi? Il sintomo principale dell’endometriosi è il dolore, in particolare quello pelvico cronico, spesso associato a mestruazioni dolorose. Il dolore può anche manifestarsi durante i rapporti sessuali, l’evacuazione intestinale o la minzione. In alcuni casi, è così intenso da influire sulla vita quotidiana. Altri sintomi includono sanguinamenti abbondanti, disturbi intestinali e gonfiore addominale. Tuttavia, alcune donne possono non avere sintomi evidenti.

Come si diagnostica? “L’identificazione dell’endometriosi inizia con un’analisi dettagliata della storia clinica della paziente ed una precisa anamnesi – afferma il dottor Marco Grassi – inoltre è importante considerare la presenza di casi in famiglia, poiché esiste una predisposizione genetica alla condizione. Per una donna con sospetto di endometriosi, la visita ginecologica deve includere l’ecografia pelvica per rilevare cisti o tessuti anomali e, se necessario, una risonanza magnetica. L’endometriosi non è sempre uguale. I vari stadi L’endometriosi è suddivisa in quattro stadi, identificati dall’American Society for Reproductive Medicine (ASRM). La classificazione si basa sulla diffusione della patologia e sull’entità dei danni causati, che influenzano le opzioni terapeutiche disponibili.

Primo stadio: l’endometriosi è di entità minima, con lesioni di dimensioni contenute e il tessuto endometriale fuoriuscito dall’utero si presenta localizzato superficialmente.

Secondo stadio: il numero di lesioni è maggiore e sono più profonde.

Terzo stadio: aumento dell’estensione della malattia, con la presenza di cisti ovariche e la formazione di aderenze o cicatrici tra gli organi pelvici.

Quarto stadio: forma grave, con impianti profondi, cisti di notevoli dimensioni su una o entrambe le ovaie, e la presenza di aderenze e cicatrici.

L’endometriosi è inserita tra i LEA (Livelli essenziali di assistenza) nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti. Nelle forme più avanzate (stadi III e IV), le pazienti hanno diritto ad esenzione per alcune prestazioni di controllo.

Esiste una cura? Non c’è una cura definitiva, ma diverse terapie possono gestire i sintomi, a seconda della gravità e del desiderio di gravidanza. Per il dolore, si utilizzano solitamente FANS e analgesici. “Nella scelta del trattamento è importante tenere in considerazione anche l’età della donna ed il relativo potenziale di fertilità – spiega il dottor Grassi – l’uso di estroprogestinico o progestinico può favorire un miglioramento dei sintomi, poiché inibisce la stimolazione ormonale e la crescita degli impianti endometriosici. Il trattamento con analoghi del GnRH, che blocca completamente la stimolazione ovarica e provoca effetti collaterali simili alla menopausa, è riservato a casi che necessitano di intervento chirurgico”.

Prevenzione Sensibilizzare verso la malattia è la migliore forma di prevenzione. “La scarsa consapevolezza contribuisce a un ritardo diagnostico di ben sette anni, con un impatto profondo sulla qualità della vita ed il benessere psico-fisico della donna” sottolinea il dottor Grassi.

E’ possibile rimanere incinta? L’endometriosi è responsabile di sub-fertilità o infertilità nel 30-40% dei casi. Tuttavia non è esclusa completamente la possibilità di restare incinta specie nelle donne che presentano forme meno gravi.

I cibi da mangiare e quali evitare? Si consiglia una dieta ricca di fibre (cereali integrali, legumi, frutta e verdura) e Omega 3 (pesce, frutta secca, semi, olio d’oliva, carne bianca e uova). Ridurre grano, carne rossa e latticini. Eliminare cibi infiammatori come prodotti industriali, farine raffinate, carni rosse, zucchero, alcol, caffeina e bevande gassate.

Lo sport aiuta? L’esercizio fisico stimola il rilascio di endorfine, che alleviano il dolore pelvico cronico, sintomo comune dell’endometriosi, e abbassa i livelli di estrogeni. Pratiche mente-corpo come lo yoga, possono ridurre stress, ansia e dolore, migliorando il benessere fisico e mentale delle pazienti con endometriosi.


Fonte: askanews.it

Basta ritardi nel rimborso dei bonus

La Regione Sicilia si appresta a digitalizzare la gestione dei buoni per i celiaci con l’adozione della piattaforma CELIACHI@RL di ARIA SPA, operativa da agosto prossimo. Una svolta attesa da tempo dai negozi specializzati, che però chiedono garanzie sui tempi di rimborso, spesso non rispettati. A farsi portavoce delle loro esigenze, informa una nota, sarà Michele Mendola, referente regionale di AINC – Associazione Italiana Negozi Celiachia e fondatore della community online CeliachiaFacile, nel corso dell’incontro promosso dall’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia, in programma il 17 marzo.

“La Sicilia è una delle poche Regioni che ancora gestisce manualmente il rimborso dei buoni. Una volta utilizzato il bonus, l’esercente deve inviarlo alla ASP competente e, per legge, dovrebbe ricevere il rimborso entro 30 giorni. Tuttavia, questo termine non viene rispettato: i ritardi superano spesso i due mesi, a volte anche sei mesi e oltre, mettendo a rischio la sopravvivenza dei negozi specializzati” – spiega Mendola. La piattaforma CELIACHI@RL è stata sviluppata proprio per snellire la burocrazia e garantire una gestione più efficiente, con risultati positivi nelle Regioni che l’hanno già adottata. “Grazie anche al contributo di AINC, il sistema è stato ottimizzato e speriamo che in Sicilia possa finalmente garantire rimborsi puntuali. I negozi specializzati offrono un servizio essenziale per chi è intollerante al glutine e meritano maggiore tutela” – aggiunge Mendola.

Un ulteriore vantaggio della digitalizzazione riguarda i buoni spesa per i celiaci, attualmente utilizzabili solo nella propria Regione di residenza. Se la piattaforma verrà adottata su scala nazionale, sarà possibile spendere i buoni ovunque in Italia, facilitando la vita di chi si sposta per lavoro o per vacanza. Per illustrare le potenzialità della piattaforma e raccogliere le istanze dei titolari di negozi specializzati, AINC ha organizzato un incontro il 16 marzo a Palermo, presso l’Hotel Sirenetta, Viale dei Saraceni. Parteciperanno, oltre a Michele Mendola, anche Bruno Prandolini (Segretario Nazionale AINC), Giuseppe Fresolone (Amministratore Delegato di Ergo-Web) e Giovanna Manganotti (referente del Gruppo Sinergia).

Fonte: askanews.it

Studio Neuromed: “Risposta immunitaria protegge cuore da scompenso”

L’insufficienza cardiaca rappresenta una delle principali cause di mortalità legate all’ipertensione, una condizione che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo. Ora uno studio guidato dall’Irccs Neuromed di Pozzilli e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Immunity, svela un meccanismo biologico che coinvolge il cuore, il cervello e la milza nella risposta cardiaca al sovraccarico emodinamico cardiaco provocato dall’ipertensione arteriosa.

“Abbiamo scoperto – spiega Sara Perrotta, Ricercatrice dell’Irccs Neuromed, primo autore della ricerca – che il cuore, sotto pressione a causa dell’ipertensione, invia un segnale al cervello, che a sua volta attiva il sistema immunitario nella milza. Quest’ultima rilascia un fattore di crescita, chiamato Placental Growth Factor (PlGF), capace di stimolare specifiche cellule immunitarie presenti nel muscolo cardiaco, favorendo un rimodellamento inizialmente adattativo. Tuttavia, con il tempo, questo processo tende a peggiorare, compromettendo la funzionalità del cuore”.

La ricerca, condotta sia su modelli animali che nell’uomo, descrive un vero e proprio circuito biologico che collega tre organi: il cuore, che segnala il sovraccarico; il cervello, che processa l’informazione e invia comandi alla milza; e la milza stessa, che risponde producendo il PlGF, una molecola già nota per la sua importanza nei processi di crescita e riparazione dei tessuti. E si torna di nuovo al cuore: il PlGF stimola dei particolari macrofagi residenti in questo organo esprimenti il recettore Neuropilina-1. Queste cellule immunitarie, stimolate da PlGF, proliferano per favorire una risposta strutturale che consente al muscolo cardiaco di sopportare meglio la pressione elevata.

Lo studio non si è limitato agli esperimenti su modelli animali. Gli scienziati hanno infatti osservato che, anche in pazienti ipertesi, i livelli di PlGF nel sangue aumentano parallelamente ai segni di un rimodellamento del cuore. Inoltre, è stata individuata l’espressione di una particolare proteina, Neuropilina-1, nei macrofagi del tessuto cardiaco umano, confermando l’esistenza di un meccanismo simile anche nella nostra specie.

“Questa scoperta – commenta Daniela Carnevale, Professore Ordinario dell’Università Sapienza di Roma e Irccs Neuromed, ultimo nome e autore di riferimento dello studio – apre nuove prospettive nella comprensione di come il sistema nervoso e quello immunitario lavorino insieme per governare la risposta del cuore nei processi patologici che portano allo scompenso cardiaco. In futuro, potremmo immaginare strategie terapeutiche capaci di modulare questa risposta naturale per prevenire l’evoluzione dell’insufficienza cardiaca”.

Lo studio ha coinvolto ricercatori provenienti da diversi Istituti internazionali tra cui l’Università di Manchester, l’Università di Toronto e l’Università di Edimburgo, a testimonianza di una collaborazione scientifica globale su un tema di grande impatto per la salute pubblica.

Fonte: askanews.it

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