Stenosi aortica, procedura mininvasiva TaVi anche per over 75

Nuove linee guida ampliano platea. Riparte Campagna "Tavi è Vita"
Buone notizie dalle nuove Linee Guida ESC 2021 sull’applicabilità della TAVI – la procedura di impianto transcatetere della valvola aortica – che ampliano potenzialmente il target di pazienti, includendo definitivamente la popolazione dai 75 anni in su, i pazienti ad alto rischio o quelli inoperabili, secondo la tradizionale tecnica cardiochirurgica.

‘La definizione del target pazienti per la procedura TAVI è estremamente importante perché sancisce un’opportunità terapeutica per categorie di pazienti che oggi possono beneficiare della procedura mini-invasiva, che ha ormai da tempo consolidato la sua appropriatezza, riducendo la mortalità all’1% e restituendo ai pazienti una buona qualità di vita – afferma Giuseppe Tarantini, Presidente GISE – GISE ha da sempre puntato sulla necessità di includere tutti i pazienti elegibili a questo trattamento, oltre che sensibilizzare la popolazione a rischio per una maggiore consapevolezza sulla stenosi aortica e la sua diagnosi tempestiva, con campagne ad hoc come TAVI è VITA che quest’anno parte rinnovata’.

‘La stenosi aortica è una malattia tempo-dipendente con ripercussioni importanti sulla salute: una diagnosi tempestiva diventa fondamentale per arrestare il decorso verso la forma severa, che risulta fatale per oltre la metà dei pazienti, se non sottoposti a un trattamento appropriato entro i due anni dalla diagnosi – continua Giovanni Esposito, Presidente Eletto GISE – ecco perché le nuove linee guida, e il rilancio della campagna TAVI è VITA, sono fondamentali oggi in Italia per costruire una consapevolezza diversa sulla patologia, sulle opportunità terapeutiche più adeguate, secondo il profilo di ciascun paziente’.

I progressi scientifici e tecnologici nel campo della cardiochirurgia e dell’interventistica cardiovascolare hanno contributo sensibilmente a migliorare l’outcome dei pazienti. ‘La stenosi aortica non trattata non è una malattia benigna, dato che circa il 50% dei pazienti affetti dalla forma severa sintomatica muore entro due anni dall’inizio dei sintomi’ – commenta Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia. – ‘La cardiologia ha rivoluzionato la terapia di questa patologia, che prima poteva essere trattata solo chirurgicamente, introducendo la TAVI, grazie alla quale oggi migliaia di pazienti in Italia vengono trattati con successo. Le nuove indicazioni della Società Europea di Cardiologia aggiornano alcuni parametri per la scelta del trattamento più adeguato, aumentando il livello di raccomandazione per la procedura, che diventa la prima opzione nei pazienti over 75. Sotto questa soglia d’età, si ricorre principalmente alla cardiochirurgia se il rischio chirurgico è basso, diversamente si può protendere per l’approccio con TAVI’.

Le nuove linee guida europee sottolineano come la scelta dell’opzione più adeguata debba coinvolgere un’equipe di specialisti – il cosiddetto Heart Team – composta da cardiologi clinici, cardiologi interventistici, cardiochirurghi, specialisti di imaging cardiaco, anestesisti cardiovascolari e infermieri, con l’obiettivo di valutare sia i fattori clinici che anatomici e, da adesso, anche le preferenze dei pazienti. ‘L’Heart Team rappresenta il ‘nucleo operativo’ centrale fondamentale che può indirizzare il paziente verso il miglior standard di cura, secondo le specifiche condizioni fisiche e cliniche di ciascuno. Si tratta di un vero e proprio lavoro di squadra in cui le decisioni vengono condivise con un approccio multidisciplinare – spiega Francesco Musumeci, Past President SICCH -. Un altro aspetto fondamentale è il contesto in cui il paziente deve essere curato: a prescindere dall’approccio scelto – chirurgico o mini-invasivo – è necessario che questo avvenga all’interno di un Heart Valve Center, ovvero una struttura dotata delle competenze necessarie per il trattamento di pazienti con patologia valvolare’.

‘Lo svolgimento della procedura all’interno delle strutture dotate di cardiochirurgia è fondamentale per assicurare al paziente appropriatezza diagnostica, corretta gestione di eventuali complicanze e maggiore sicurezza e fiducia. Soltanto questo ‘guscio’ può garantire il risultato migliore, sia in termini di procedura sia in termini di risultato’, continua Lorenzo Galletti, Presidente SICCH.

Con l’approccio suggerito dalle nuove Linee guida, inoltre, il paziente diventa parte attiva del proprio percorso di cura. ‘Le aspettative dei pazienti sono un aspetto importante nel processo di decision-making terapeutico. I pazienti e le loro famiglie devono essere informati sul ventaglio di opzioni disponibili e adeguate alla propria condizione ed essere costantemente assistiti nelle loro scelte’, aggiunge Indolfi. La campagna TAVI è VITA – un progetto ideato e realizzato da GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica) in collaborazione con SIC (Società Italiana di Cardiologia) e SICCH (Società Italiana di Chirurgia Cardiaca) col contributo non condizionato di Medtronic – ha l’obiettivo di sensibilizzare il potenziale target di popolazione a rischio, la popolazione generale, la comunità medico-scientifica e le istituzioni sul tema della stenosi aortica, una delle malattie più comuni delle valvole cardiache che in Italia colpisce più del 3% della popolazione oltre i 75 anni.

Gli attuali approcci di cura prevedono il ricorso all’intervento chirurgico o a procedure interventistiche percutanee mini-invasive, come l’impianto transcatetere della valvola aortica (Transcatheter Aortic Valve Implantation – TAVI), a seconda delle condizioni del paziente. La TAVI è una procedura che consente il trattamento di pazienti ad alto rischio chirurgico o inoperabili, riducendo la mortalità all’1%. Dal 2014 al 2019, l’adozione dell’approccio transcatetere è aumentato in Italia passando da 2.586 a 8.255 procedure totali, con un progressivo aumento annuale che si attesta sul 15%. Eppure risulta essere ancora sottoutilizzata: i pazienti trattati con TAVI sono solo il 32% di quanti, secondo le evidenze cliniche, meriterebbero il trattamento e con significative disparità territoriali legate alla frammentazione a livello regionale del Sistema Sanitario Nazionale. Si passa, infatti, da regioni come Lombardia, Veneto, Campania – con rispettivamente 22%, 11,3% e 10,5% delle procedure effettuate nel 2020 – a regioni dove l’applicazione si attesta ancora all’1-2%.

‘Questi dati dimostrano che la mancanza di un collegamento tra la medicina del territorio e gli ospedali è ancora oggi una grave lacuna del Sistema ed è necessario un piano cardiologico di ripartenza che preveda la costituzione di un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale, che favorisca la comunicazione tra medico di medicina generale, cardiologo del territorio e gli specialisti dei centri di riferimento’ – precisa Tarantini. ‘In questo contesto, come si può immaginare, la pandemia ha inciso in modo negativo su gestione e cura della stenosi: molti casi non sono stati registrati per il rallentamento delle attività ospedaliere e le liste di attesa si sono molto allungate, causando notevoli ritardi. Nel caso di TAVI, si è registrato un calo del 10% a livello nazionale, con un’oscillazione importante a livello locale, dove alcune Regioni hanno registrato un 40% in meno di procedure’. TAVI è VITA è la campagna di sensibilizzazione ideata e realizzata da GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica) in collaborazione con SIC (Società Italiana di Cardiologia) e SICCH (Società Italiana di Chirurgia Cardiaca) col contributo non condizionato di Medtronic – con l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni, la comunità medico-scientifica e l’opinione pubblica sulla stenosi aortica e sulle terapie più appropriate, tra le quali l’impianto transcatetere di valvola aortica.

La stenosi aortica è una delle malattie più comuni delle valvole cardiache ed è causata dall’invecchiamento. Colpisce il 3,4% della popolazione italiana, ma è poco conosciuta dai pazienti – principalmente anziani, con numerose comorbidità – che sottovalutano e sottostimano sintomi come dispnea, angina e sincope, o che inconsapevolmente riducono il loro livello di attività quotidiana come meccanismo di protezione per evitare i sintomi.

La Campagna TAVI è VITA prevede una serie di strumenti e attività – digitali e sul territorio – per diffondere informazioni corrette e approfondite. Il sito www.progettotavivita.it racchiude tutte le informazioni, gli approfondimenti e i contenuti relativi alla stenosi aortica, alla sua gestione e sui percorsi di cura – in tutte le fasi di pre-diagnosi, post-diagnosi e post-intervento. Per farlo, sono stati creati contenuti multimediali dedicati, come video-interviste con medici, specialisti, pazienti ed ex-pazienti per approfondire i diversi aspetti della patologia, le tecniche e le terapie oggi disponibili e raccontare i percorsi di cura e le esperienze direttamente dalla voce dei pazienti. I contenuti del sito saranno veicolati anche attraverso i canali Facebook e LinkedIn per poter raggiungere un target più ampio di pazienti e caregiver.
Inoltre la campagna prevederà l’attivazione sul territorio di una serie di eventi informativi, con il coinvolgimento di esperti e specialisti a livello locale.


Fonte: askanews.it

Ricerca clinica apre prospettive al supporto nutrizionale nella patologia reumatica

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica sistemica che colpisce milioni di persone nel mondo, provocando dolore, rigidità articolare e un generale peggioramento della qualità della vita. Ma a essere compromesso, spesso in modo meno visibile, è anche lo stato nutrizionale del paziente: affaticamento, perdita di appetito e difficoltà nella preparazione dei pasti contribuiscono a deficit energetici e carenze di fibre, elementi chiave per il mantenimento di un buon stato di salute.

La dieta, informa una nota, gioca un ruolo cruciale nella gestione della AR. Lo stato nutrizionale dei pazienti affetti da AR è compromesso dall’infiammazione cronica e da altri fattori associati alla malattia, richiedendo quindi una gestione dietetica mirata, che non può essere efficacemente ottenuta solo attraverso alimenti convenzionali.

In questo contesto si inserisce lo studio MIKARA, pubblicato su Nutrients nel 2023, che ha esplorato gli effetti di una combinazione nutrizionale a base di trigliceridi a media catena (MCT) e fibre solubili e insolubili in pazienti con AR. Il trial, della durata di 16 settimane e condotto in doppio cieco con gruppo placebo, ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa dell’attività della malattia, misurata attraverso l’indice SDAI (Simplified Disease Activity Index). In particolare, è emersa una correlazione tra l’assunzione di Mikara Shake e l’aumento dei livelli ematici di beta-idrossibutirrato (BHB), corpo chetonico prodotto durante la chetogenesi. Questo processo permetterebbe di soddisfare eventuali carenze energetiche legate all’AR, dal momento che i corpi chetonici rappresentano una fonte di energia rapidamente disponibile. Inoltre, il BHB è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, che giustificherebbero in parte i benefici osservati durante il trial. Le fibre, derivate da fonti naturali come bambù e psillio, si sono rese particolarmente utili per il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibre suggerito dalle linee guida europee e prevenendo dunque le possibili carenze che spesso caratterizzano questi pazienti.

“I pazienti con artrite reumatoide affrontano ogni giorno difficoltà che vanno oltre i sintomi articolari: l’affaticamento, la perdita di appetito e le limitazioni fisiche rendono complesso mantenere un’alimentazione adeguata, aggravando condizioni già compromesse dal punto di vista metabolico” – spiega la Prof.ssa Francesca Ingegnoli, Reumatologa dell’ASST Gaetano Pini CTO di Milano e Docente di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano – “Lo studio MIKARA suggerisce che un supporto nutrizionale mirato, basato su MCT e fibre, può rappresentare un complemento utile alla terapia farmacologica, contribuendo in modo integrato a migliorare il quadro clinico generale”.

La formulazione testata nella ricerca, Mikara Shake – sviluppata da Dr. Schär – è stata selezionata per la sua composizione avanzata, e rappresenta un esempio virtuoso di come l’innovazione nutrizionale possa entrare a far parte di un modello di cura che comprende anche l’aspetto nutrizionale. In un’ottica di medicina sempre più personalizzata e multidimensionale, l’intervento nutrizionale emerge come strumento concreto e sicuro per affiancare la terapia convenzionale, promuovendo una maggiore aderenza alle cure e contribuendo al miglioramento complessivo della qualità della vita

Oltre agli esiti clinici, lo studio MIKARA evidenzia il valore di un intervento che agisce anche sul piano della quotidianità del paziente. L’introduzione di una formulazione nutrizionale semplice da assumere, non invasiva e facilmente integrabile nella routine alimentare si traduce in una maggiore autonomia, in una riduzione dello stress legato alla gestione del pasto e in un miglior equilibrio psicofisico. Si tratta di benefici spesso trascurati nella valutazione dei trattamenti, ma fondamentali per rafforzare la motivazione, migliorare l’aderenza alla terapia e sostenere il benessere complessivo della persona nel lungo termine. In questo senso la nutrizione si configura come supporto aggiuntivo per chi convive con una malattia cronica.

Fonte: askanews.it

La Società Italiana di Nefrologia lancia il monito: più idratazione nel periodo più caldo

Recenti dati confermano una prevalenza di calcolosi renale (o litiasi renale) compresa tra il 6,8% e il 10,1% della popolazione, con recidive che si verificano tra il 30% e il 50% dei casi entro 5-10 anni dal primo episodio, principalmente tra i soggetti di sesso maschile. Si stima inoltre una maggiore incidenza tra i 30 e i 60 anni. Il picco maggiore avviene durante la stagione estiva. Analogamente non va trascurato il rischio di peggioramenti acuti della funzione renale per sudorazioni profuse soprattutto negli anziani.

“La disidratazione (carenza di acqua nel nostro organismo) è uno dei principali fattori di rischio per la formazione dei calcoli renali, soprattutto in estate, quando la sudorazione aumenta e le urine si concentrano. Se la sudorazione aumenta ed è continua, come ormai accade spesso visto il cambiamento climatico, si può anche sviluppare una insufficienza renale acuta da deplezione di colume (carenza di sodio nel nostro organismo). I reni sono gli organi più intelligenti del nostro corpo: lavorano in silenzio per mantenere l’equilibrio di acqua, sali, pressione e vitamine. Ma senza una corretta idratazione ed un apporto sufficiente di sale, non possono fare il loro lavoro”. È quanto spiega Luca De Nicola, Presidente della Società Italiana di Nefrologia (SIN) e Professore Ordinario presso l’Università Vanvitelli di Napoli.

Durante l’estate, infatti, la perdita di liquidi e sodio attraverso il sudore porta a una riduzione del volume di plasma e all’aumento della concentrazione urinaria. Questa condizione favorisce la precipitazione dei sali (in particolare calcio e ossalati), dando origine alla formazione dei calcoli. Non solo. Perdere acqua e sale può comportare una riduzione della pressione arteriosa e della irrorazione sanguigna degli organi vitali, con il rischio di andare incontro a conseguenze negative, dalle più lievi come stanchezza e ipotensione arteriosa alle più gravi quali insufficienza renale acuta, infarto e ictus.

“Il cambiamento climatico e il prolungarsi del caldo torrido per oltre quattro mesi all’anno – sottolinea De Nicola – rendono questo problema sempre più frequente. I calcoli renali – continua De Nicola – si manifestano spesso con coliche improvvise e violente di intensità simile al dolore “da parto”. Un dolore trafittivo, localizzato nella parte bassa della schiena, che può irradiarsi verso l’inguine. Il paziente colpito è in genere agitato, in cerca di sollievo, a differenza di chi soffre di lombosciatalgia che tende invece a restare immobile”. La maggior parte dei calcoli (circa l’80-90%) è composta da ossalato o fosfato di calcio; più rari quelli da acido urico, struvite o cistina. I calcoli inferiori al centimetro spesso vengono espulsi spontaneamente con terapie farmacologiche, mentre i più grandi (oltre 1-2 cm) richiedono litotrissia o, in rari casi, l’intervento chirurgico.

Come reagire al dolore della colica renale Per alleviare il dolore, oltre ad antidolorifici e/o antinfiammatori secondo consiglio medico, si consiglia di applicare un panno caldo o fare un bagno per rilassare la muscolatura liscia e l’uretere, favorendo così l’espulsione del calcolo (nel caso di calcoli piccoli).

La prevenzione comincia dall’idratazione. Tre litri di acqua al giorno: è questa la dose raccomandata d’estate per chi soffre di calcolosi o vuole prevenirla. Oltre all’acqua anche l’alimentazione aiuta l’idratazione: frutta, verdura, tisane e l’uso (mirato) di citrato di potassio possono favorire un profilo urinario protettivo. Al contrario, l’eccesso di carne rossa, spinaci, crusca e frutta secca può essere controproducente nelle persone predisposte a sviluppare calcolosi renale.

Un mito da sfatare. Ridurre l’introito di calcio non previene i calcoli renali. “Non bisogna eliminare dalla dieta il calcio, anzi: è fondamentale per le ossa. Il vero problema è la disidratazione, non il latte o i latticini” – chiarisce il Presidente SIN, Luca De Nicola.

Prendersi cura dei reni durante l’estate. L’estate non solo aumenta il rischio di calcolosi ma anche quello di insufficienza renale acuta, soprattutto negli anziani, che hanno una ridotta capacità di trattenere il sale- continua il Presidente De Nicola. Necessario, pertanto, aumentare in questo periodo l’introito di sale se la pressione arteriosa è normale ( 130/80 mmHg) e non è presente edema generalizzato da scompenso cardiaco o cirrosi epatica scompensata. Prendersi cura dei reni significa proteggere l’intero organismo e, in particolare, il cuore. La Malattia Renale Cronica è oggi la prima malattia cronica nel mondo per incidenza. Eppure, dal momento che non dà sintomi fino agli stadi avanzati, solo il 10% dei pazienti è consapevole di essere malato ed è quindi seguito da un nefrologo.

L’impegno della SIN e della comunità nefrologica tutta. La SIN, in collaborazione con il Ministero della Salute, ha redatto un Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PPDTA), già inviato a tutte le Regioni, per migliorare la presa in carico dei pazienti e prevenire complicanze, ma anche per aumentare consapevolezza e prevenzione da parte della popolazione generale.

Contestualmente, è all’esame del Parlamento una proposta di legge per avviare screening nazionali presso i Medici di Medicina Generale (MMG) nelle popolazioni a rischio, ossia diabetici, ipertesi, obesi e cardiopatici. Il disegno di legge, a firma degli Onorevoli Mulè e Patriarca, è ora in discussione in Parlamento.

Infine, è storica la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 23 maggio scorso che riconosce la Malattia Renale Cronica quale priorità di salute pubblica. Un traguardo di enorme valore che consente di agire con più forza in partnership con le Istituzioni per la prevenzione primaria e secondaria della MRC.

Fonte: askanews.it

L’impegno della Lega del Filo d’Oro per un’inclusione reale

Tra gli italiani vi è una conoscenza non del tutto appropriata sulle persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale, che sono oltre 360mila in Italia (lo 0,7% della popolazione); ma è in aumento la sensibilità sul tema e cresce il numero di chi sceglie di sostenere gli Enti che si occupano di “assistenza alle persone con disabilità motorie, cognitive e sensoriali”. Sono alcune delle evidenze che emergono dalla ricerca condotta a giugno 2025 da AstraRicerche per la Lega del Filo d’Oro, su un campione di oltre mille italiani tra i 18 e i 75 anni.

In occasione della Giornata Internazionale della Sordocecità (27 giugno), la Fondazione Lega del Filo d’Oro ETS – Ente Filantropico, da 60 anni punto di riferimento in Italia per la sordocecità e la pluridisabilità psicosensoriale, riaccende l’attenzione su questa disabilità unica e specifica, per dare voce alle istanze di chi non vede e non sente e delle tante famiglie che chiedono soluzioni concrete per il futuro dei propri figli, che rappresentano una fascia non trascurabile di popolazione, spesso invisibile, che rischia di essere confinata nell’isolamento imposto dalla propria disabilità a causa delle barriere e delle disuguaglianze che è costretta ad affrontare, anche nelle attività quotidiane e più importanti. Una persona con sordocecità, ad esempio, non può andare in ospedale senza essere accompagnata da un interprete, bambini e ragazzi non possono frequentare la scuola senza programmi adeguati, gli adulti non possono accedere al mondo del lavoro, senza politiche realmente inclusive.

SORDOCECITÀ: UNA CONOSCENZA ANCORA PARZIALE, MA LA SENSIBILITÀ È IN AUMENTO – Sulla sordocecità gli italiani hanno un livello di informazione solo discreto: sanno che è una condizione che si può presentare già dalla nascita, congenita, legata a infezioni durante la gravidanza, a nascita prematura, a rare malattie genetiche (70.4%) e – meno – che è una condizione che si può acquisire nel corso della vita, a seguito di traumi, gravi malattie, etc. (58.9%). Un quinto (19.7%) è erroneamente convinto che la sordocecità sia una disabilità rara, con pochissimi casi in Italia, e un sesto (16.9%) non è a conoscenza delle possibilità per comunicare con il mondo (“la persona sordocieca dalla nascita non ha alcun modo di comunicare con il mondo esterno”).

Nonostante una conoscenza ancora parziale, la sensibilità rispetto a questi temi è in crescita: se negli ultimi 10 anni molte ‘buone cause’, aree di intervento degli Enti del Terzo Settore, hanno visto una diminuzione del numero di sostenitori tramite donazione, la più rilevante eccezione è costituita dall'”assistenza alle persone con disabilità motorie, cognitive e sensoriali”, passata dal 9.4% del 2016 al 16.4% del 2025. E dal 2016 al 2025 la parte degli italiani che dichiarano di conoscere la Lega del Filo d’Oro non solo di nome ma, in modo qualificato, è passata dal 31.0% al 46.2%.

UN MANIFESTO PER I DIRITTI DELLE PERSONE SORDOCIECHE – Al fine di porre l’attenzione su alcuni temi centrali per promuovere un reale cambiamento, la Lega del Filo d’Oro ha presentato nel marzo del 2024, alla Camera dei deputati, il Manifesto delle Persone Sordocieche, un documento in dieci punti in cui si chiede alle Istituzioni un maggior impegno affinché ogni persona sordocieca venga riconosciuta e sostenuta, ovunque e sempre, con accesso a cure, interpreti e strumenti che possano davvero fare la differenza nella vita di tutti i giorni. Perché l’inclusione scolastica, la mobilità autonoma, l’accessibilità dei luoghi di sport e cultura, la possibilità di lavorare e abitare in spazi pensati per le esigenze specifiche di chi non vede e non sente non sono solo diritti, ma passi fondamentali verso una società in cui nessuno venga lasciato indietro.

“Da 60 anni il lavoro della Lega del Filo d’Oro è animato dalla passione e, soprattutto, dal coraggio di vedere e ascoltare “oltre” ciò che è possibile, per dare voce ai bisogni delle persone sordocieche e delle loro famiglie, costruendo un futuro in cui ognuno possa autodeterminarsi e vivere una vita dignitosa e autonoma – dichiara Rossano Bartoli, Presidente della Fondazione Lega del Filo d’Oro – Questa Giornata rappresenta un’occasione preziosa per fare il punto su quanto è stato fatto negli anni, ma soprattutto su quanto resta ancora da fare per garantire la piena inclusione di chi non vede e non sente, a partire dal pieno riconoscimento da parte delle Istituzioni della sordocecità come disabilità specifica. La Lega del Filo d’Oro crede fermamente che con il sostegno di tutti si possano superare le sfide attuali per creare una società più equa e accessibile, capace di riconoscere il potenziale delle persone sordocieche come una risorsa preziosa per l’intera collettività”.

IL QUADRO NORMATIVO E L’IMPEGNO PER LA PIENA ATTUAZIONE DELLA L. 107/2010 – Da sessant’anni, la Lega del Filo d’Oro è impegnata in prima linea nel portare all’attenzione delle Istituzioni politiche e dell’opinione pubblica le istanze delle persone sordocieche e con pluridisabilità psicosensoriale e delle loro famiglie, promuovendo l’autonomia, l’inclusione sociale e il pieno riconoscimento dei loro diritti. In particolare, molti sforzi sono stati condotti affinché non fosse fermato l’iter per la revisione e la piena applicazione della Legge 107/2010 sul riconoscimento della sordocecità come disabilità unica e specifica. A tal proposito, nel marzo dello scorso anno il Consiglio dei Ministri ha approvato un importantissimo disegno di legge (il cosiddetto semplificazioni-bis) volto a garantire il riconoscimento della sordocecità a tutte le persone che manifestano compromissioni totali o parziali combinate della vista e dell’udito, congenite o acquisite, a prescindere dall’età di insorgenza. Tale misura si inserisce nel più ampio disegno di riforma avviato con la Legge Delega per la Disabilità (Legge 22 dicembre 2021, n. 227), che accompagnerà l’aggiornamento della definizione di sordocecità a una semplificazione dei criteri e delle modalità di accertamento.

La nuova definizione di sordocecità – che si auspica possa essere approvata anche dal Parlamento – segna un cambio di passo fondamentale per le persone sordocieche. Avere una definizione che finalmente riconosca la sordocecità, indipendentemente dall’età, è di cruciale importanza per garantire pienamente il diritto alla salute e all’assistenza, nonché per promuovere una reale autodeterminazione. La sfida del pieno riconoscimento della sordocecità come disabilità specifica non deve, pertanto, esaurirsi in un – auspicato e necessario – miglioramento della presa in carico sanitaria e sociosanitaria, ma consiste nel tradurre le politiche di inclusione in diritti pienamente esigibili.

Fonte: askanews.it

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