La coerenza cardiaca per la salute mentale e il benessere organizzativo

Sempre più aziende si affidano a questa pratica scientifica per i propri dipendenti.
Migliorare la salute mentale a livello organizzativo, con la relativa gestione di stress e ansia, è un passo indispensabile per il BenEssere e quindi per la produttività dei lavoratori e dell’azienda, messi a dura prova dal Covid 19. Tanto che gli stessi amministratori delegati di aziende leader, si legge in una nota, hanno lanciato in merito un’iniziativa sostenuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), la Global Business Collaboration for Better Workplace Mental Health. Per la sua misurabilità e le evidenze scientifiche alla base, la coerenza cardiaca è una delle pratiche più semplici e sostenibili per gestire al meglio stress ed emozioni, recuperando centratura e chiarezza mentale, così che sempre organizzazioni e aziende di primo piano la stanno scegliendo anche in Italia.

Messa a punto da 30 anni dall’istituto statunitense HeartMath, questa pratica destinata al benessere personale e professionale, accreditata da più di 25 anni di pubblicazioni scientifiche, è già utilizzata da migliaia di persone in tutto il mondo, in particolare da più di 500 organizzazioni, tra cui aziende (Hewlett Packard, Unilever, Cisco Systems, Glaxosmithkline), ospedali e strutture sanitarie, scuole e università, strutture militari e spaziali, tra cui la Nasa. Sempre più organizzazioni, proprio in epoca Covid 19, la stanno adottando anche in Italia grazie alla prima Trainer italiana HeartMath Lara Lucaccioni, che conduce il workshop per il benessere personale e professionale “Il vantaggio della resilienza”, in modo da star bene e prosperare anche in un periodo come questo. Tra le aziende interessate, da segnalare Zurich, S&P Global, Biogen Italia, Assicurazioni Alleanza, L-Founders of Loyalty Italy.

Grazie ad un lavoro sul respiro e sul richiamo di emozioni positive – fattibile in qualsiasi situazione e anche ad occhi aperti – la coerenza cardiaca permette di sincronizzare cuore e cervello, usando la variabilità del ritmo cardiaco (HRV) come una sorta di codice Morse che invia istruzioni al cervello e al sistema ormonale, i quali possono così organizzare percezioni, emozioni e comportamenti, impattanti in positivo sul BenEssere. Con la pratica di coerenza si va a generare uno standard psicofisico ottimale di grande centratura, chiarezza mentale, efficienza energetica, che favorisce salute e performance e permette di prepararsi con la massima efficacia ad una situazione complessa e sfidante, di gestirla al meglio e di tornare in brevissimo tempo nel proprio stato di equilibrio dopo momenti di grande pressione.

Tra i benefici, sia sul lavoro, sia nella vita personale, una comunicazione più autentica e una migliore performance mentale con un aumento della produttività e i seguenti risultati: maggiore focus e memoria a breve (+24%) e lungo termine (+40%), aumento del problem solving e della proattività, autoregolazione delle emozioni, migliore gestione dello stress, processo decisionale più rapido ed efficace, maggiore capacità di discernimento nella complessità, aumento del sonno rigenerativo, maggiore energia e lucidità.

“Una delle mie ultime giornate di formazione in azienda, presso L-Founders of Loyalty Italy, è stata forse una delle esperienze formative più dense e riuscite della mia vita – ha dichiarato Lara Lucaccioni – Siamo stati in formazione per l’intera giornata, con la formula full immersion, e alla fine eravamo rigenerati, pieni di nutrimento, centrati e con una comprensione di come, grazie alle tecniche di coerenza cardiaca, si possa migliorare il proprio stato psicofisico, la gestione di stress ed emozioni, la comunicazione autentica e la relazione con i colleghi, la fiducia reciproca, con uno spirito di gruppo coeso e tangibile seppur a distanza”.

In uno studio, i dipendenti ipertesi di un’azienda di livello mondiale dell’information technology hanno rilevato una riduzione della pressione di 10,6 mm Hg sistolica e 6,3 mm Hg diastolica, con dimostrati miglioramenti della salute emotiva. Approfondendo i casi studi HeartMath a livello organizzativo[2], in un’azienda aerospaziale che viveva un periodo di grande cambiamento e ansia rispetto alla futura sicurezza lavorativa, la pratica di oltre 2 mila dipendenti dopo 45 giorni ha fatto registrare una diminuzione di rabbia (-14%), senso di sfinimento (-17%), stanchezza (-25%), ansia (-28%), tachicardia (-7%), depressione (-10%), insonnia (-11%), con aumenti della produttività invece fino al 12%. In un sistema di trasporto pubblico che stava affrontando un momento di grande trasformazione e pressione, dopo 45 giorni si sono registrati minore sfinimento (-8%), stanchezza (-17%), affaticamento (-18%), ansia (-23%), maggiore senso di apprezzamento (+16%), comunicazione con il superiore (+6%) e produttività (+7%). Approfondendo invece i dati sul fronte del BenEssere prodotto dalla pratica, in un’azienda di telecomunicazioni, dopo 6 mesi non solo si sono registrati risultati positivi sull’ipertensione, ma anche un aumento di produttività (+57%), lavoro di squadra (+57%) ed empowerment (+56%). In un’istituzione finanziaria sono stati testati 1300 collaboratori, tra i sei e gli otto mesi dopo il training il 71% ha continuato a usare le pratiche di HeartMath (86% al lavoro, 55% a casa), l’82% ha testimoniato che il training ha migliorato la propria salute e il BenEssere generale. Nell’ospedale universitario di Bloomington, dopo il training non solo si sono registrate minore preoccupazione (-21%) e affaticamento (-27%), ma anche maggiore senso di pace (+16%) e appagamento (+13%).

 

Fonte: askanews.it

Ricerca clinica apre prospettive al supporto nutrizionale nella patologia reumatica

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica sistemica che colpisce milioni di persone nel mondo, provocando dolore, rigidità articolare e un generale peggioramento della qualità della vita. Ma a essere compromesso, spesso in modo meno visibile, è anche lo stato nutrizionale del paziente: affaticamento, perdita di appetito e difficoltà nella preparazione dei pasti contribuiscono a deficit energetici e carenze di fibre, elementi chiave per il mantenimento di un buon stato di salute.

La dieta, informa una nota, gioca un ruolo cruciale nella gestione della AR. Lo stato nutrizionale dei pazienti affetti da AR è compromesso dall’infiammazione cronica e da altri fattori associati alla malattia, richiedendo quindi una gestione dietetica mirata, che non può essere efficacemente ottenuta solo attraverso alimenti convenzionali.

In questo contesto si inserisce lo studio MIKARA, pubblicato su Nutrients nel 2023, che ha esplorato gli effetti di una combinazione nutrizionale a base di trigliceridi a media catena (MCT) e fibre solubili e insolubili in pazienti con AR. Il trial, della durata di 16 settimane e condotto in doppio cieco con gruppo placebo, ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa dell’attività della malattia, misurata attraverso l’indice SDAI (Simplified Disease Activity Index). In particolare, è emersa una correlazione tra l’assunzione di Mikara Shake e l’aumento dei livelli ematici di beta-idrossibutirrato (BHB), corpo chetonico prodotto durante la chetogenesi. Questo processo permetterebbe di soddisfare eventuali carenze energetiche legate all’AR, dal momento che i corpi chetonici rappresentano una fonte di energia rapidamente disponibile. Inoltre, il BHB è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, che giustificherebbero in parte i benefici osservati durante il trial. Le fibre, derivate da fonti naturali come bambù e psillio, si sono rese particolarmente utili per il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibre suggerito dalle linee guida europee e prevenendo dunque le possibili carenze che spesso caratterizzano questi pazienti.

“I pazienti con artrite reumatoide affrontano ogni giorno difficoltà che vanno oltre i sintomi articolari: l’affaticamento, la perdita di appetito e le limitazioni fisiche rendono complesso mantenere un’alimentazione adeguata, aggravando condizioni già compromesse dal punto di vista metabolico” – spiega la Prof.ssa Francesca Ingegnoli, Reumatologa dell’ASST Gaetano Pini CTO di Milano e Docente di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano – “Lo studio MIKARA suggerisce che un supporto nutrizionale mirato, basato su MCT e fibre, può rappresentare un complemento utile alla terapia farmacologica, contribuendo in modo integrato a migliorare il quadro clinico generale”.

La formulazione testata nella ricerca, Mikara Shake – sviluppata da Dr. Schär – è stata selezionata per la sua composizione avanzata, e rappresenta un esempio virtuoso di come l’innovazione nutrizionale possa entrare a far parte di un modello di cura che comprende anche l’aspetto nutrizionale. In un’ottica di medicina sempre più personalizzata e multidimensionale, l’intervento nutrizionale emerge come strumento concreto e sicuro per affiancare la terapia convenzionale, promuovendo una maggiore aderenza alle cure e contribuendo al miglioramento complessivo della qualità della vita

Oltre agli esiti clinici, lo studio MIKARA evidenzia il valore di un intervento che agisce anche sul piano della quotidianità del paziente. L’introduzione di una formulazione nutrizionale semplice da assumere, non invasiva e facilmente integrabile nella routine alimentare si traduce in una maggiore autonomia, in una riduzione dello stress legato alla gestione del pasto e in un miglior equilibrio psicofisico. Si tratta di benefici spesso trascurati nella valutazione dei trattamenti, ma fondamentali per rafforzare la motivazione, migliorare l’aderenza alla terapia e sostenere il benessere complessivo della persona nel lungo termine. In questo senso la nutrizione si configura come supporto aggiuntivo per chi convive con una malattia cronica.

Fonte: askanews.it

La Società Italiana di Nefrologia lancia il monito: più idratazione nel periodo più caldo

Recenti dati confermano una prevalenza di calcolosi renale (o litiasi renale) compresa tra il 6,8% e il 10,1% della popolazione, con recidive che si verificano tra il 30% e il 50% dei casi entro 5-10 anni dal primo episodio, principalmente tra i soggetti di sesso maschile. Si stima inoltre una maggiore incidenza tra i 30 e i 60 anni. Il picco maggiore avviene durante la stagione estiva. Analogamente non va trascurato il rischio di peggioramenti acuti della funzione renale per sudorazioni profuse soprattutto negli anziani.

“La disidratazione (carenza di acqua nel nostro organismo) è uno dei principali fattori di rischio per la formazione dei calcoli renali, soprattutto in estate, quando la sudorazione aumenta e le urine si concentrano. Se la sudorazione aumenta ed è continua, come ormai accade spesso visto il cambiamento climatico, si può anche sviluppare una insufficienza renale acuta da deplezione di colume (carenza di sodio nel nostro organismo). I reni sono gli organi più intelligenti del nostro corpo: lavorano in silenzio per mantenere l’equilibrio di acqua, sali, pressione e vitamine. Ma senza una corretta idratazione ed un apporto sufficiente di sale, non possono fare il loro lavoro”. È quanto spiega Luca De Nicola, Presidente della Società Italiana di Nefrologia (SIN) e Professore Ordinario presso l’Università Vanvitelli di Napoli.

Durante l’estate, infatti, la perdita di liquidi e sodio attraverso il sudore porta a una riduzione del volume di plasma e all’aumento della concentrazione urinaria. Questa condizione favorisce la precipitazione dei sali (in particolare calcio e ossalati), dando origine alla formazione dei calcoli. Non solo. Perdere acqua e sale può comportare una riduzione della pressione arteriosa e della irrorazione sanguigna degli organi vitali, con il rischio di andare incontro a conseguenze negative, dalle più lievi come stanchezza e ipotensione arteriosa alle più gravi quali insufficienza renale acuta, infarto e ictus.

“Il cambiamento climatico e il prolungarsi del caldo torrido per oltre quattro mesi all’anno – sottolinea De Nicola – rendono questo problema sempre più frequente. I calcoli renali – continua De Nicola – si manifestano spesso con coliche improvvise e violente di intensità simile al dolore “da parto”. Un dolore trafittivo, localizzato nella parte bassa della schiena, che può irradiarsi verso l’inguine. Il paziente colpito è in genere agitato, in cerca di sollievo, a differenza di chi soffre di lombosciatalgia che tende invece a restare immobile”. La maggior parte dei calcoli (circa l’80-90%) è composta da ossalato o fosfato di calcio; più rari quelli da acido urico, struvite o cistina. I calcoli inferiori al centimetro spesso vengono espulsi spontaneamente con terapie farmacologiche, mentre i più grandi (oltre 1-2 cm) richiedono litotrissia o, in rari casi, l’intervento chirurgico.

Come reagire al dolore della colica renale Per alleviare il dolore, oltre ad antidolorifici e/o antinfiammatori secondo consiglio medico, si consiglia di applicare un panno caldo o fare un bagno per rilassare la muscolatura liscia e l’uretere, favorendo così l’espulsione del calcolo (nel caso di calcoli piccoli).

La prevenzione comincia dall’idratazione. Tre litri di acqua al giorno: è questa la dose raccomandata d’estate per chi soffre di calcolosi o vuole prevenirla. Oltre all’acqua anche l’alimentazione aiuta l’idratazione: frutta, verdura, tisane e l’uso (mirato) di citrato di potassio possono favorire un profilo urinario protettivo. Al contrario, l’eccesso di carne rossa, spinaci, crusca e frutta secca può essere controproducente nelle persone predisposte a sviluppare calcolosi renale.

Un mito da sfatare. Ridurre l’introito di calcio non previene i calcoli renali. “Non bisogna eliminare dalla dieta il calcio, anzi: è fondamentale per le ossa. Il vero problema è la disidratazione, non il latte o i latticini” – chiarisce il Presidente SIN, Luca De Nicola.

Prendersi cura dei reni durante l’estate. L’estate non solo aumenta il rischio di calcolosi ma anche quello di insufficienza renale acuta, soprattutto negli anziani, che hanno una ridotta capacità di trattenere il sale- continua il Presidente De Nicola. Necessario, pertanto, aumentare in questo periodo l’introito di sale se la pressione arteriosa è normale ( 130/80 mmHg) e non è presente edema generalizzato da scompenso cardiaco o cirrosi epatica scompensata. Prendersi cura dei reni significa proteggere l’intero organismo e, in particolare, il cuore. La Malattia Renale Cronica è oggi la prima malattia cronica nel mondo per incidenza. Eppure, dal momento che non dà sintomi fino agli stadi avanzati, solo il 10% dei pazienti è consapevole di essere malato ed è quindi seguito da un nefrologo.

L’impegno della SIN e della comunità nefrologica tutta. La SIN, in collaborazione con il Ministero della Salute, ha redatto un Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PPDTA), già inviato a tutte le Regioni, per migliorare la presa in carico dei pazienti e prevenire complicanze, ma anche per aumentare consapevolezza e prevenzione da parte della popolazione generale.

Contestualmente, è all’esame del Parlamento una proposta di legge per avviare screening nazionali presso i Medici di Medicina Generale (MMG) nelle popolazioni a rischio, ossia diabetici, ipertesi, obesi e cardiopatici. Il disegno di legge, a firma degli Onorevoli Mulè e Patriarca, è ora in discussione in Parlamento.

Infine, è storica la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 23 maggio scorso che riconosce la Malattia Renale Cronica quale priorità di salute pubblica. Un traguardo di enorme valore che consente di agire con più forza in partnership con le Istituzioni per la prevenzione primaria e secondaria della MRC.

Fonte: askanews.it

L’impegno della Lega del Filo d’Oro per un’inclusione reale

Tra gli italiani vi è una conoscenza non del tutto appropriata sulle persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale, che sono oltre 360mila in Italia (lo 0,7% della popolazione); ma è in aumento la sensibilità sul tema e cresce il numero di chi sceglie di sostenere gli Enti che si occupano di “assistenza alle persone con disabilità motorie, cognitive e sensoriali”. Sono alcune delle evidenze che emergono dalla ricerca condotta a giugno 2025 da AstraRicerche per la Lega del Filo d’Oro, su un campione di oltre mille italiani tra i 18 e i 75 anni.

In occasione della Giornata Internazionale della Sordocecità (27 giugno), la Fondazione Lega del Filo d’Oro ETS – Ente Filantropico, da 60 anni punto di riferimento in Italia per la sordocecità e la pluridisabilità psicosensoriale, riaccende l’attenzione su questa disabilità unica e specifica, per dare voce alle istanze di chi non vede e non sente e delle tante famiglie che chiedono soluzioni concrete per il futuro dei propri figli, che rappresentano una fascia non trascurabile di popolazione, spesso invisibile, che rischia di essere confinata nell’isolamento imposto dalla propria disabilità a causa delle barriere e delle disuguaglianze che è costretta ad affrontare, anche nelle attività quotidiane e più importanti. Una persona con sordocecità, ad esempio, non può andare in ospedale senza essere accompagnata da un interprete, bambini e ragazzi non possono frequentare la scuola senza programmi adeguati, gli adulti non possono accedere al mondo del lavoro, senza politiche realmente inclusive.

SORDOCECITÀ: UNA CONOSCENZA ANCORA PARZIALE, MA LA SENSIBILITÀ È IN AUMENTO – Sulla sordocecità gli italiani hanno un livello di informazione solo discreto: sanno che è una condizione che si può presentare già dalla nascita, congenita, legata a infezioni durante la gravidanza, a nascita prematura, a rare malattie genetiche (70.4%) e – meno – che è una condizione che si può acquisire nel corso della vita, a seguito di traumi, gravi malattie, etc. (58.9%). Un quinto (19.7%) è erroneamente convinto che la sordocecità sia una disabilità rara, con pochissimi casi in Italia, e un sesto (16.9%) non è a conoscenza delle possibilità per comunicare con il mondo (“la persona sordocieca dalla nascita non ha alcun modo di comunicare con il mondo esterno”).

Nonostante una conoscenza ancora parziale, la sensibilità rispetto a questi temi è in crescita: se negli ultimi 10 anni molte ‘buone cause’, aree di intervento degli Enti del Terzo Settore, hanno visto una diminuzione del numero di sostenitori tramite donazione, la più rilevante eccezione è costituita dall'”assistenza alle persone con disabilità motorie, cognitive e sensoriali”, passata dal 9.4% del 2016 al 16.4% del 2025. E dal 2016 al 2025 la parte degli italiani che dichiarano di conoscere la Lega del Filo d’Oro non solo di nome ma, in modo qualificato, è passata dal 31.0% al 46.2%.

UN MANIFESTO PER I DIRITTI DELLE PERSONE SORDOCIECHE – Al fine di porre l’attenzione su alcuni temi centrali per promuovere un reale cambiamento, la Lega del Filo d’Oro ha presentato nel marzo del 2024, alla Camera dei deputati, il Manifesto delle Persone Sordocieche, un documento in dieci punti in cui si chiede alle Istituzioni un maggior impegno affinché ogni persona sordocieca venga riconosciuta e sostenuta, ovunque e sempre, con accesso a cure, interpreti e strumenti che possano davvero fare la differenza nella vita di tutti i giorni. Perché l’inclusione scolastica, la mobilità autonoma, l’accessibilità dei luoghi di sport e cultura, la possibilità di lavorare e abitare in spazi pensati per le esigenze specifiche di chi non vede e non sente non sono solo diritti, ma passi fondamentali verso una società in cui nessuno venga lasciato indietro.

“Da 60 anni il lavoro della Lega del Filo d’Oro è animato dalla passione e, soprattutto, dal coraggio di vedere e ascoltare “oltre” ciò che è possibile, per dare voce ai bisogni delle persone sordocieche e delle loro famiglie, costruendo un futuro in cui ognuno possa autodeterminarsi e vivere una vita dignitosa e autonoma – dichiara Rossano Bartoli, Presidente della Fondazione Lega del Filo d’Oro – Questa Giornata rappresenta un’occasione preziosa per fare il punto su quanto è stato fatto negli anni, ma soprattutto su quanto resta ancora da fare per garantire la piena inclusione di chi non vede e non sente, a partire dal pieno riconoscimento da parte delle Istituzioni della sordocecità come disabilità specifica. La Lega del Filo d’Oro crede fermamente che con il sostegno di tutti si possano superare le sfide attuali per creare una società più equa e accessibile, capace di riconoscere il potenziale delle persone sordocieche come una risorsa preziosa per l’intera collettività”.

IL QUADRO NORMATIVO E L’IMPEGNO PER LA PIENA ATTUAZIONE DELLA L. 107/2010 – Da sessant’anni, la Lega del Filo d’Oro è impegnata in prima linea nel portare all’attenzione delle Istituzioni politiche e dell’opinione pubblica le istanze delle persone sordocieche e con pluridisabilità psicosensoriale e delle loro famiglie, promuovendo l’autonomia, l’inclusione sociale e il pieno riconoscimento dei loro diritti. In particolare, molti sforzi sono stati condotti affinché non fosse fermato l’iter per la revisione e la piena applicazione della Legge 107/2010 sul riconoscimento della sordocecità come disabilità unica e specifica. A tal proposito, nel marzo dello scorso anno il Consiglio dei Ministri ha approvato un importantissimo disegno di legge (il cosiddetto semplificazioni-bis) volto a garantire il riconoscimento della sordocecità a tutte le persone che manifestano compromissioni totali o parziali combinate della vista e dell’udito, congenite o acquisite, a prescindere dall’età di insorgenza. Tale misura si inserisce nel più ampio disegno di riforma avviato con la Legge Delega per la Disabilità (Legge 22 dicembre 2021, n. 227), che accompagnerà l’aggiornamento della definizione di sordocecità a una semplificazione dei criteri e delle modalità di accertamento.

La nuova definizione di sordocecità – che si auspica possa essere approvata anche dal Parlamento – segna un cambio di passo fondamentale per le persone sordocieche. Avere una definizione che finalmente riconosca la sordocecità, indipendentemente dall’età, è di cruciale importanza per garantire pienamente il diritto alla salute e all’assistenza, nonché per promuovere una reale autodeterminazione. La sfida del pieno riconoscimento della sordocecità come disabilità specifica non deve, pertanto, esaurirsi in un – auspicato e necessario – miglioramento della presa in carico sanitaria e sociosanitaria, ma consiste nel tradurre le politiche di inclusione in diritti pienamente esigibili.

Fonte: askanews.it

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